Hanno ammazzato un taxista, per questo siamo in ritardo. L’accesso al parcheggio dell’aeroporto è bloccato, raggiungici dove vedi i lampeggianti della polizia”.
È con questa breve telefonata che il mio contatto in Argentina mi fa scrollare di colpo la stanchezza accumulata nella lunga spedizione e mi fa capire che finalmente sono tornato a viaggiare.

Sono quasi al posto di blocco dove le luci blu delle volanti rimbalzano frenetiche nella notte plumbea quando un uomo sui cinquanta si avvicina e mi sussurra: “sei tu?”. Non può che essere Walter, colui che mi ospiterà a casa sua il primo mese. Dopo un abbraccio raggiungiamo Nito, la persona che mi ha aiutato a dar vita a questa esperienza. “!Benvenuto, questa è la vera Argentina!” dice ridendo riferendosi al caos che sta succedendo in città.
“El piquete” è l’espressione locale usata per descrivere una forma particolare di protesta portata avanti da un gruppo di persone o da una categoria in particolare. I motivi possono essere i più disparati: richiesta di lavoro, aumento del salario, giustizia o altro. Una classica manifestazione come succede ovunque se non fosse che è totalmente incontrollata e che porta una città ad assomigliare al peggiore dei Far West. In questo caso i taxisti, in risposta all’uccisione del collega, chiedono maggior sicurezza bloccando le principali arterie della città e congestionando tutto il traffico provinciale.

La città di Neuquén è tagliata in due da un lungo fiume e per raggiungere la mia destinazione lo si deve per forza attraversare. Dall’aeroporto, la statale n°22 corre diritta per tutta la valle in direzione di Bahía Blanca e dopo 100 km raggiunge la città di Villa Regina. È una strada facile, percorsa giornalmente da tutti coloro che si recano nella capitale dell’omonima provincia per lavorare nel settore dell’estrazione petrolifera o nelle università. “Ahora pero está cortada”, non si può passare, i taxisti hanno completamente bloccato il ponte d’accesso. Poco male, ci sono altri due ponti per attraversare il Rio Negro ma scopro in fretta che i problemi sono altrettanti: non si sa se sono aperti e, cosa non da poco, non si sa come raggiungerli.
Tranne per la statale 22, Neuquén è composta da strade che non hanno mai conosciuto l’illuminazione e anche se questa fosse presente non avrebbe nessun cartello stradale su cui riflettere la propria luce. Siamo totalmente persi e con noi altre decine di automobilisti. Proviamo a prendere questa uscita, no meglio quell’incrocio, svoltiamo di là, poi dall’altra parte e intanto le strade all’improvviso si buttano su dello sterrato sconnesso avvolto dalla notte cupa nonostante la luna piena sia sempre visibile dal finestrino.

La città è disseminata di poliziotti, taluni in cerca dell’assasino altri a tenere sotto osservazione i tassisti. Grazie alle indicazioni degli agenti raggiungiamo la rotatoria che precede l’imbocco del secondo ponte ma la visione non è delle più idilliache. Alte colonne scure si elevano al cielo partendo da numerosi copertoni incendiati. I taxi parcheggiati ai lati e la strada sbarrata da una volante fanno da contorno alle alte fiamme sfavillanti sprigionate dai pneumatici arroventati gettati lungo tutta la rotonda. L’odore acre e pungente della plastica in fiamme pervade l’abitacolo e trascina le nostre menti a pensare dove e in che condizioni sarà l’ultimo ponte. Sembra una scena da guerriglia urbana e tutti gli autisti spaesati girano nelle varie strade sterrate apparentemente a caso, nel buio pesto e in mezzo al nulla patagonico.
Tra buche, inversioni di marcia, cani randagi e rotolacampo che attraversano la carreggiata scorgiamo in lontananza il terzo ponte che pare essere libero. Ci avviciniamo furtivamente come un gatto fa con il topo, quasi avessimo il timore che da un momento all’altro nuove fiamme incendiassero l’asfalto.
Ormai il ponte è alle spalle così come Neuquén e il piquete, ma sono sicuro, per lo meno lo spero, di incontrarlo nuovamente in questo viaggio che non poteva avere una partenza migliore. ¡Benvenuto in Argentina!