Ero appena uscito dal barbiere quando vidi quel tavolo nella penombra di una stradina. Avevo varcato l’ingresso di quel salone due ore prima, un po’ per sistemare la folta barba, e un po’ perché in certi angoli di mondo, dal parrucchiere, succedono sempre cose interessanti.
Avevo aspettato il mio turno sotto gli occhi stupiti dei presenti mentre mi offrivano di continuo chay e sigarette. La scelta tra l’utilizzo della lama e del rasoio elettrico era stata affidata a Google traduttore e la tipologia di taglio a ciò che ognuno ne ricavava da quella traduzione claudicante. Una volta sbarbato poi mi fu impossibile ottenere il conto, dovetti decidere io il prezzo che ritenevo adeguato per il lavoro.
Insomma, stavo ancora riflettendo su tutto questo quando la mia attenzione fu catturata da quattro anziani che animavano l’aria intorno a quel tavolino in strada. Decisi di avvicinarmi. In pochi secondi venne aggiunta una sedia e ordinato un altro chay mentre l’uomo alla mia sinistra mi allungava un sacchetto di sigarette rollate. Capivo poco del gioco, e nulla di quel che dicevano, ma percepivo una frenesia nello spostare le tessere numerate che sembrava seguire una regola ancestrale.
Poi, all’improvviso, il più arcigno dei quattro buttò qualche parola d’inglese e con decisione mi fece segno di sedere a fianco a lui. La sua faccia corrugata stonava in mezzo ai visi rilassati e benevoli dei compagni. Digitò un numero e mi passò il telefono. Una voce maschile parlava in perfetto inglese. Yussuf, suo nipote, mi confidava che avrebbe avuto piacere di incontrarmi il giorno successivo per colazione. Non potei rifiutare, non dopo essere stato accolto in quella bisca che già sentivo mia.
C’era però qualcosa che non mi piaceva nello zio. Un’aria malvagia e negativa pareva avvolgerlo come il fumo della sigaretta che portava sempre alla bocca. Al contempo, dentro di me, una voce profonda continuava a mettermi in guardia e a dirmi di non andare all’appuntamento.
Alle 10 del giorno successivo ho lasciato che l’entrata dell’hotel rimanesse vuota avvertendo Yussuf con un messaggio della mia partenza anticipata.
Sono su un bus che mi sta portando via da Sanliurfa, città sul confine siriano, per inoltrarmi più a est, verso una località che fino a due giorni fa non sapevo esistesse e verso Arzu, una ragazza sconosciuta, che mi darà ospitalità.
Insomma, una situazione non tanto diversa da quella appena evitata. Eppure sento che da dove ieri arrivava timore e negatività oggi arriva sicurezza e ottimismo. Scelgo di assecondare quella voce ancora una volta.
In fondo la vita è un po’ come quel gioco, un enorme caos di cui si capisce gran poco e dove le persone, come le tessere, arrivano tra le mani casualmente. Alcune buone, altre cattive. Basta solo dar retta a quel brusio interiore e, di tanto in tanto, entrare da un barbiere a caso.
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