Il piccolo A. stava camminando da due ore su e giù per la navata dell’antica biblioteca di Dublino quando all’improvviso li notò. Tra i 200.000 volumi ce n’erano alcuni avvolti con un nastro di cotone bianco.
Il custode gli aveva spiegato che era l’unica soluzione per tenere uniti i libri più fragili, spesso i più belli. Quelli malconci e vissuti che lo scorrere del tempo e gli imprevisti avevano deteriorato e tentato di disunire.
Quello che non gli aveva detto era che da quel momento si sarebbe sentito osservato da una infinità di sguardi. All’improvviso gli enormi scaffali non sembravano più sostenere tomi centenari ma storie di vita. Era circondato da migliaia di volti di carta e gli sembrò perfino di udire dei sussurri provenire da quelli ornati di bianco.
Al piccolo A. parve di essere tornato giù in strada dove le persone camminavano solitarie in mezzo alla folla di Grafton Street. Un corteo disordinato di storie più o meno attraenti, originali o già sentite, alcune foderate da copertine sgualcite altre tirate a lucido. Ma tra loro anche tanti nastri bianchi che di nascosto tenevano assieme i fogli, permettendo a cicatrici più o meno recenti di non scucirsi. C’era chi lo portava ben stretto attorno al cuore, chi aggrovigliato nella mente. Chi non era consapevole di averlo e chi invece si vergognava di possederne più d’uno. Alcuni, per paura, lo avevano stretto con quello della persona a fianco.
Il piccolo Amos buttò un’ultima veloce occhiata alla biblioteca e si fece coraggio. Prese tra le dita il suo, lo riannodò un po’ più forte, e senza vergogna smise di nasconderlo.
Dopotutto, le pagine che teneva insieme non erano così male. Valeva la pena non disperderle.
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