I piedi seguono nervosamente il ritmo della musica. Avvolti da due scarpe di diversi colori, fattezze e origini, battono il tempo contro lo sgabello di legno. Racchiuso in un paio di pantaloni scuri se ne sta in disparte, alle spalle della grande tavolata addobbata di chiacchiere, mate e risate. Il cappuccio ben stretto oscura il viso e trattiene a stento i pesanti pensieri che sembrano giacere e moltiplicarsi sotto quel sottile strato di lana.

C’è una terra in cui la neve cade perennemente da diversi anni. Una neve tossica, che curva le spalle e fa si che J. si accartocci dentro se stesso impedendo al mondo esterno di accedere al suo pensiero. Mano a mano che questa polvere tocca il grigio suolo, delle mura invisibili si alzano verso l’alto strappando la mente di J. dalle risa e dalla condivisione, confinandola ad una fredda solitudine interiore che gela qualsiasi emozione.

Due mani gonfie e rovinate spuntano dalle maniche sgualcite. La trascuratezza e il lavoro hanno fatto si che una patina nera le avvolga permanentemente facendole assomigliare a delle radici appena estratte dalla terra. Lentamente ripercorrono il lungo filo nero fino ad afferrare il microfono.

I piccoli altoparlanti gracchiano il tentativo di evasione e la sua roca voce si perde con la musica di sottofondo. In mezzo a tutto quel freddo, a quella solitudine che schiaccia, è rimasta ancora un piccolo barlume di forza. J. vuole urlare al mondo che dentro quel corpo nascosto dal vestiario e dai pesanti silenzi c’è una persona, un essere umano che lotta contro quella prigione invisibile tutta sua. Vuole uscire, desidera tornare al di qua, scappare da quella stanza sempre più stretta nella sua mente e smettere una volta per tutte di lasciare pesanti impronte nella coltre bianca.

Tutto finisce in pochi secondi, come un temporaneo raggio di sole che appare nel mezzo del temporale prima di nascondersi nuovamente dietro le nubi. Le parole si spengono e J., nell’indifferenza generale, se ne va. Non sembra capire che la sua voce, carica del suo dolore e del suo bisogno di esprimersi, in mezzo alla confusione della sala è arrivata forte su quest’altra terra più fortunata, pronta a scrivere di lui.

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Questo è un articolo  che fa parte di “Volti patagonici“. Una serie che “racconta” in maniera inconsueta alcune persone incontrate in questa omonima terra. Sono pezzi molto personali, probabilmente poco comprensibili, figli del mio strano modo di dare una forma a quei brevi ed improvvisi scossoni emotivi che talvolta mi suscitano le persone. Saranno brani molto ingarbugliati, ricchi di metafore e spesso scritti in maniera indiretta e per questo potrebbero richiedere più di una lettura per essere compresi. In poche parole articoli di cui si capirà poco o nulla, o forse, ognuno afferrerà un qualcosa di diverso, e questo, a me, non dispiace affatto.

Foto in copertina di Bob Doran, qui la sua gallery.