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Più o meno consciamente, quasi tutti almeno una volta abbiamo sentito parlare delle isole Phi Phi. Chi per le sue bianche spiagge a ridosso delle alte montagne calcaree, chi per il film “The Beach” con protagonista Di Caprio e chi per lo Tsunami del 2004. I più sfortunati invece hanno appreso dell’esistenza delle Phi Phi dalla moda che vede girare per tutto il mondo manipoli di palestrati e non, con addosso delle discutibili canotte fluorescenti con sopra stampati un cuore e la scritta Phi Phi per l’appunto.

Koh Phi Phi: vale davvero la pena andarci?

L’ arcipelago delle isole Phi Phi (pronunciato pee-pee) si trova in Thailandia ad una quarantina di chilometri a sud-est di Phuket ed è formato da sei isole. Le due isole principali, Koh Phi Phi Don e Koh Phi Phi Leh (Ko o Koh in thai sta per isola), sono facilmente raggiungibili da Phuket, Koh Lanta o da Krabi con dei traghetti. Tra le due isole maggiori Koh Phi Phi Don è quella più grande nonché l’unica abitata, mentre Koh Phi Phi Leh, di dimensioni ridotte, è un’insieme di alte e ripide formazioni calcaree che circondano due baie poco profonde, May Bay e Loh Samah.
Prima del nuovo millennio erano in pochi i viaggiatori che si spingevano in questo arcipelago sconosciuto, poi qualcosa è cambiato.

Nel 2000 uscì il film The Beach, tratto dall’omonimo romanzo di Alex Garland, in cui un giovane Leonardo di Caprio nei panni di Richard, un curioso turista americano, veniva a conoscenza di un’isola con una baia incantevole sulla quale viveva una piccola comunità di viaggiatori e avventurieri. Questi, per preservare l’isola dal turismo di massa e dalle sue conseguenze, la tenevano nascosta e solo occasionalmente poche persone tornavano sulla terra ferma per procurarsi delle provviste. Le scene del film riguardanti l’isola furono girate a Phi Phi Leh sulla sua inconfondibile Maya Bay.

La pellicola ebbe molto successo e di conseguenza causò ciò che nel film i protagonisti temevano: tutto il mondo venne a conoscenza dell’esistenza di questi luoghi favolosi. Ben presto il flusso di turisti iniziò ad aumentare e con loro l’offerta di alloggi, ristoranti e servizi. Ma il vero punto di non ritorno fu poco tempo dopo il 26 dicembre 2004 quando lo Tsunami colpì inevitabilmente anche le isole Phi Phi.

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Koh Phi Phi Don potrebbe essere considerata come due isole distinte se non fosse che un lembo di sabbia largo circa 100 metri collega le due lunghe e imponenti creste di calcare. Su questa striscia di terra, non più alta di 2 metri, sorge Ton Sai, il villaggio principale dove si trovano la maggior parte delle abitazioni e ristoranti. Su entrambi i lati di Ton Sai ci sono delle ampie baie semicircolari con altrettante lunghe spiagge.

La mattina del 26 dicembre l’acqua si ritirò da entrambe le baie per tornare poco dopo con onde alte fino a 7 metri da entrambi i lati del villaggio. Il duplice colpo fu devastante causando la perdita stimata di 4000 vite umane e oltre il 70% degli edifici dell’isola andò distrutto. La ripresa fu lenta e difficile ma a un anno dal maremoto, quasi 1500 camere d’albergo erano disponibili insieme ad un sistema di allarme Tsunami installato dal governo.

Questo fu solo l’inizio di una corsa senza precedenti alla costruzione pazza e incontrollata di strutture ricettive, ristoranti, negozi di souvenir, centri nautici che continua tuttora.

Lo spazio libero è sempre meno e così, dopo aver anche rimosso il memoriale per le vittime dello tsunami in favore di un nuovo hotel, le nuove costruzioni ora si spingono sempre più su verso le alte colline.

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Il fatto che in meno di un ventennio da pochi arrivi all’anno si sia passato a circa mille arrivi giornalieri, potrebbe far facilmente pensare che l’isola sia sovrappopolata e che le spiagge assomiglino di più alla tonnara della riviera romagnola piuttosto che ai paesaggi da cartolina desertici di cui ci siamo tanto innamorati. Ė così, ma c’è un però.

Una caratteristica umana che ci contraddistingue è quella di essere degli animali curiosi soprattutto per le cose che incuriosiscono gli altri e proprio come le pecore tendiamo a seguire il resto del gregge. Il risultato non può non nascondere un effetto positivo. Nello stesso tempo in cui la famosa Maya Bay è presa d’assalto da motoscafi, long tail boats e schiere di turisti il cui tasso alcolemico rasenta il numero del loro Iphone, ci sono altre decine di spiagge, calette e rive completamente deserte dove la natura non sembra mai esser venuta in contatto con l’uomo. Il che sembra quasi impossibile se si considera che le isole Phi phi misurano solo 12,25 Km2 e accolgono tutta questa gente.

Trovare spiagge da sogno libere da forme umane, oltre ad essere fattibile, è dunque molto facile; basta noleggiare un kayak, seguire con lo sguardo gli altri turisti e prendere la direzione opposta.

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Fare incetta di pace e tranquillità su questi lidi sconosciuti sembra l’unico modo per affrontare la calca e gli eccessi che si troveranno una volta tornati al villaggio di Ton Sai. Questo piccolo centro, oggi assomiglia di più ad una piccola Ibiza dove si susseguono ostelli, ristoranti, pub e locali notturni; non proprio quello che ci si aspetterebbe di trovare su una piccola isola in mezzo all’oceano Indiano.

Le piccole stradine che si perdono dentro il villaggio sono un brulicare di vite umane indaffarate a scegliere la migliore agenzia di viaggio, il centro massaggi più conveniente o il locale dove finire per vomitare la sera stessa. In mezzo a tutti questi turisti, di tanto in tanto, un suono di clacson simulato con la bocca, (Dopo lo Tsunami le strade sono state completamente asfaltate e fortunatamente gli unici veicoli motorizzati ammessi sull’isola sono riservati ai servizi di emergenza) anticipa l’arrivo di giovani thailandesi armati di un carrello con il quale trasportano, con la fatica stampata in volto, qualsiasi tipo di merce; dalle scorte d’acqua al pesce pescato, dal ghiaccio alla spazzatura fino alle numerose valige di ricchi russi in cambio di pochi spiccioli.

E questa immagine forse racchiude tutta la realtà e il paradosso delle isole Phi Phi: umili persone che, schiave delle regole del mercato, per sopravvivere mettono a disposizione di noi turisti (spesso) ignoranti le più belle cose che la natura abbia loro donato. Col risultato di vedere queste meraviglie soccombere e piano piano sparire a causa di un continuo arrivo di stranieri spesso esportatori di brutte maniere e produttori di rifiuti che l’apposita tassa d’ingresso (20 Bath) non riesce a gestire.

Quindi in conclusione no, non vale la pena andarci. Veramente.
Per far festa, per sfrecciare nella famosa baia a bordo di un motoscafo o per poter indossare una canotta fluorescente in bagno mentre ci si scatta una foto per dire io ci sono stato, non ne vale la pena. Le Phi Phi saranno grate di non avere addosso l’ennesimo umano che sembra quasi impegnarsi nel deturpare le spiagge, le foreste e i mari con mozziconi di sigaretta, sacchetti di plastica e bottiglie di birra pagate 4 volte tanto che nel resto della Thailandia.

Vale davvero la pena andarci invece se cercate responsabilmente la natura, con le sue acque azzurre al cui interno pesci tra i più colorati nuotano inconsapevoli della loro bellezza; con le sue alte e ripide scogliere a dipingere orizzonti sconosciuti; con la sua foresta rigogliosa che tiene al riparo scimmie e chissà quali altri animali.
Sapendo che per trovare tutto ciò bisogna spostarsi dal centro e discostarsi dal gregge ne vale la pena sì, ma quanto durerà ancora? Dipende da noi.