Prendere parte a La Tomatina de Buñol si trovava al numero 32 della mia lista delle 100 cose da fare prima di morire e quest’anno ho avuto la fortuna di parteciparvi.
Di per sè non c’è molto da raccontare. Si passa un’ora incastrati in questa tonnara a sfigurare volti a colpi di pomodori, a tuffarsi nella polpa e a bestemmiare per il bruciore agli occhi dovuto dall’acidità del succo di pomodoro. Descritta così non sembra invitante, ma credetemi lo è, soprattutto se raggiungete questo paesino la sera prima. Ed è proprio della sera prima che parla questo racconto.
La Tomatina: oltre ai pomodori c’è di più.
«Un Euro, un euro!» un bambino di dieci anni ripercorre in senso opposto la colonna umana formatasi, annunciando il costo di quella improbabile doccia.
Qualche metro più avanti un vecchio grida «el proximo!» e la fila avanza di qualche passo. Questo pacifico nonnetto, dai capelli radi e con la grossa pancia esposta al sole, con la gomma dell’acqua toglie alla meno peggio i residui de La Tomatina dalla pelle, dai capelli e dai vestiti di centinaia di persone per lo più asiatici, australiani e americani. Con un sorriso compiaciuto, nascosto dietro a spessi occhiali, osserva lussurioso tutta la gioventù del gentil sesso che pare appena uscita da una scatola di passata Cirio.
Mentre la fila indugia nell’avanzare, nella mia testa fanno eco gli episodi delle ultime ore…
La Tomatina come di consueto si è svolta dalle 11.00 alle 12.00 dell’ultimo mercoledì del mese di agosto nel piccolo paese di Buñol, vicino a Valencia. In questi 60 minuti nella via principale circa 22.000 persone hanno scaricato le proprie tensioni e l’astio accumulato in una vita intera cercando di sfregiare a suon di pomodori facce di incolpevoli stranieri. Sette camion hanno attraversato la via principale di Buñol scaricando (e lanciando) il materiale orto-bellico e qualsiasi cosa si è tinta velocemente di rosso.
Accade a volte di andare allo stadio per una partita e sebbene si sia assistito ad un bell’incontro la cosa che rimane più impressa è la coreografia e lo spettacolo dei tifosi. Oppure vai ad un concerto e il gruppo sconosciuto che apre l’esibizione dell’artista principale ti sorprende da quanto è bello. Ecco, scoprire cosa succede la sera prima de La Tomatina credo si avvicini parecchio a questa situazione.
Appena si supera il ponte in Avenida País Valenciano ad entrambi i lati della via due interminabili file di tavoli si rincorrono come i binari di una ferrovia. Comodi nelle loro sedie gli abitanti di Buñol mangiano e bevono consapevoli che La Tomatina dell’indomani ormai è divenuta un’attrazione turistica per stranieri, mentre la loro festa è questa sera e la cena delle 23.00 è solo l’alba di una lunga nottata. Passeggiando in mezzo a queste due ali di cibo, sangria e leccornie si nota subito come dagli anziani ai più giovani tutto il paese è in strada. Tutti mangiano e bevono senza alcuna fretta in un clima di assoluta pace. Per chi come noi ha deciso di arrivare per La Tomatina già la sera prima, in vecchi garage e rimesse delle associazioni locali vengono vendute birre e sangria in bicchieri da un litro e se hai bisogno di qualsiasi cosa come dei servizi, o semplicemente necessiti di uno stuzzicadenti basta chiedere e in un attimo qualcuno rientrando in casa ti porterà il necessario.
Sul finire di Calle del Cid in direzione del parco di San Luis sulla destra si trova El Horno la Pajarilla. Al suo interno un uomo sulla settantina tra una sigaretta e l’altra inforna e sforna teglie di pizza, riponendole poi all’interno di un grosso armadio. A Buñol l’ultimo martedì del mese di agosto non sembra vigere alcuna legge in particolare e così, tra una sbrasata e l’altra di sigaretta sul bancone, Pep si presenta raccontando di come il forno esista da 200 anni e una volta che lui sarà passato “en otrio barrio” (a miglior vita) questo chiuderà. Dopo una mia scherzosa (scherzosa?) proposta di cedermi l’attività ne segue una fitta chiacchierata accompagnata da alquanti bicchieri, seduti a bordo strada in mezzo alla folla festante. A me sembra di parlare con il nonno che non ho più e lui con il nipote che non ha mai avuto.
Da giù per Calle del Cid inizia a salire musica, sintomo che la cena sta per finire e che “banchetti di musica” improvvisati stanno prendendo il posto delle tavolate. Dopo infiniti discorsi e brindisi, conscio di una sintonia che difficilmente si trova tra due sconosciuti, un lungo abbraccio e la promessa di rivederci il prossimo anno mi congeda dal mio nuovo abuelo Pep.
Quella che in origine era una normale strada, poi diventata una sala da pranzo, ora si è trasformata in una pista da ballo sotto le stelle, delimitata dalle case sui cui muri sono già stati preparati alcuni teli di protezione in vista de La Tomatina di domani e dei 160 mila chili di pomodori che verranno lanciati in ogni direzione.
Tutti ridono, ballano, scherzano e bevano come una grande famiglia, indipendentemente che tu parli americano, che tu abbia gli occhi a mandorla o che il tuo accento sia italiano. Tutto il paese è nelle vie e nonostante ormai da un po’ le lancette dell’orologio si trovino nel giorno nuovo, anche gli anziani sono presenti e vigili dal basso delle loro sedie all’interno dei garage o dei cortili. Forse, aggrappati al loro fedele bastone e dietro a quei fondi occhiali, ripensano a quando questa festa era agli arbori, quando tutti questi turisti non partivano dall’altro capo del mondo per partecipare alla Tomatina in questo piccolo paesino. O forse, semplicemente, si chiedono perché un Italiano e un Coreano si stiano gridando in faccia a vicenda It’s My Life di Bon Jovi dall’inizio alla fine.
Lo confesso, non so perché ma ho sentito il bisogno di farlo.
Mentre rifletto sul fatto che non avere prenotato un ostello per dormire almeno un paio d’ore è stato un grosso errore, una spinta accidentale mi porta ad urtare un signore la cui sigaretta si spegne inesorabilmente sul dorso della mia mano. Cerco i suoi occhi per scusarmi e li trovo quasi ad un metro più in basso rispetto ai miei. Una nuova sigaretta è già accesa, insieme ad un simpatico sorriso da cui le scuse che escono si sprecano.
«Piacere sono Cecho, El Perro (il cane) de Buñol».
«Molto piacere, solo Amos»
Ora, la sua poca statura racchiusa in un paio di jeans corti, una maglietta e un paio di sandali improbabili non danno l’aria di un cane. Di uno gnomo da giardino forse, di un Umpa Lumpa probabilmente, ma certamente non di cane.
Nella lunga conversazione seguente non credo di aver indagato sul suo soprannome, non ho sufficienti ricordi per dimostrarlo, però ricordo bene di averlo portato scherzosamente in braccio al ritmo di una non specifica canzone sotto gli occhi divertiti e un po’ assenti della sua compagna. Compagna, che qualche ora dopo mentre sto conversando amabilmente del miracolo calcistico del Mirandes con un ragazzo che indossa una maglietta da calcio di uno sconosciuto Mantovani, viene per sincerarsi che questa persona non mi stia importunando. Torno dunque da El Perro per ringraziarlo dell’interesse e scopro che anche lui è un fan di questa modesta squadra. Tra una chiacchiera e l’altra chiedo scherzosamente se ha un posto per dormire un paio d’ore.
«Quanti siete?» solo 4 rispondo.
«Venite a casa mia, dormite da me».
Non so se sono stati di più i baci che gli ho stampato in fronte o i muchas gracias che gli ho rivolto, so solo che alla mia richiesta del perché avesse accettato senza indugi che 4 sconosciuti italiani ubriachi dormissero a casa sua mi ha risposto: «Somos del mundo». Siamo del mondo.
Tre parole, uscite senza esitare dalla bocca di questo personaggio, per l’ennesima volta nella stessa sera mi hanno fatto sentire vivo.
In meno di dieci minuti siamo comodamente sdraiati su dei letti.
«Se vi serve qualcosa prendetela, qui c’è il frigo se volete della birra, noi torniamo giù in strada, ci vediamo domani!». Dopo averli ringraziati più volte e insistito che dormissero loro nel letto e noi sul divano e non viceversa, El Perro e la compagna riprendono l’ascensore lasciandoci padroni di casa loro.
Tre ore di sonno non rigenerano certo una persona ma sono sufficienti per farti affrontare una dura battaglia a colpi di pomodoro com’è la Tomatina.
I cartelli “vietato fumare” per El Perro devono essere incomprensibili o forse sono posti troppo in alto perché riesca a vederli. Ed è così, tutti stretti nel minuscolo ascensore e immersi nel fumo della sua prima sigaretta della giornata, che lasciamo casa sua per avviarci all’ingresso della via principale.
Per ogni persona incontrata presto o tardi c’è un addio da affrontare e sebbene questo incontro non sia durato nemmeno 24 ore, questo è uno di quegli addii densi di malinconia. Ma come per Pep ci lasciamo con la promessa di vederci l’anno prossimo.
«Venite e cercatemi che vi ospiterò ancora volentieri! Chiedete del Cecho, El Perro de Buñol»
«El proximo! El proximo!». L’acqua gelida arriva all’improvviso e mi fa tornare bruscamente al presente. Il vecchietto divertito pulisce frettolosamente dal pomodoro le mie scarpe e i miei capelli, impaziente di fare la doccia alla prossima ragazza della fila che non mancherà di esaminare ai raggi x attraverso i suoi occhiali. Come biasimarlo d’altronde? Con molta probabilità aspetterà questo giorno tutto l’anno per rifarsi un po’ gli occhi. Ed è grazie a personaggi come lui, Pep, El Perro che questo paese oltre a La Tomatina sa offrire un esempio di vita quasi unico nel suo genere. Dove le persone sono ancora umili e cortesi, disponibili ad aiutare e a rendere partecipi. Dove lo sconosciuto non fa paura e viene fatto sentire (e portato) a casa sua. D’altronde come dice El Perro: Somos del mundo.
Si, siamo del mondo. E non potrebbe esserci posto migliore.
Foto in copertina di Graham McLellan qui la sua gallery
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