L’infinita steppa patagonica riempie prepotentemente il parabrezza e col passare dei minuti sposta continuamente la linea dell’orizzonte qualche decina di chilometri più in là. Sono alla guida da ormai un paio d’ore quando un’improvvisa folata di vento scuote questo vecchio rottame facendo cadere la mia attenzione all’interno dello specchietto retrovisore. L’immagine che restituisce non è la mia ma quella di uno sconosciuto, un ibrido che stringe forte il volante.

Ho i capelli ricci di Andrea, ex autostoppista che sta andando a fare l’ecografia per il terzo figlio in arrivo. La gentilezza di Gonzalo e Antonio, due giovani che hanno lasciato Buenos Aires per tornare a vivere nella valle natia. La spensieratezza di Mari, Mathi e Claudia, tre amici che viaggiano leggendo libri di filosofia e fumando erba. Il romanticismo di Jonathan, idraulico affezionato alla sua vecchia e ammaccata Alfa rossa. Da quella piccola superficie riflettente intravedo anche cose negative come la cocciutaggine di Carlos, camionista in pensione che non accetta la decisione del figlio di lavorare nel sociale anziché nel campo petrolifero; o la pigrizia di Santiago, diciannovenne studente di ingegneria meccanica che si è preso una settimana di vacanza prima degli esami. Sento addosso la generosità di Abramo, che pur di raccogliere Arthur si sta inventando uno spazio inesistente nel retro del suo fiorino e la serietà di Ramon detto Lalo, ingegnere della centrale elettrica responsabile del mega blackout che ha colpito il Sud America qualche mese prima. La mia testa è piena di sogni, come quella di German, ventinovenne di Buenos Aires che ha lasciato un posto statale per andare a vivere a San Martín de los Andes (1500 km più distante) dove il salario è molto più basso ma si “guadagna in felicità”.

Continuo a fissarmi, ho le dita affusolate di Tatiana, ragazza russa arrivata in Patagonia ancora in fasce che ora si dedica alla terapia alternativa del Rieki. Mi porto addosso la leggerezza di Jaime, muratore felice di aver appena raccolto il suo primo autostoppista italiano e la premura di Andrés e Jaime, coppia cilena in vacanza che sta provando a convincere Arthur a non campeggiare per via del virus dei topi che infesta queste zone. Avverto di essere una persona tranquilla, come Emily, tedesca che da 4 settimane gira per la Patagonia ma ho dentro anche un fuoco vivo uguale a quello di Carla, ragazza di Valencia che è arrivata a Buenos Aires per fare un master in scrittura ed è finita per restarci 4 anni perché “la città mi ha intrappolata”. La compostezza devo averla presa da Eduardo, programmatore uruguaiano in una università privata che sta tornando da un viaggio in Cile. L’intraprendenza l’ho rubata a Ian, giovane ragazzo di origine polacche, nato a Buenos Aires e ora trasferitosi in queste terre dove lavora nella riparazione di computer mentre coltiva il sogno di aprire una birreria. La schiena ricurva l’ho ereditata senz’altro da Riccardo, vetraio con lontane origini italiane, che sembra possa compiere qualche gesto insano da un momento all’altro.

Ho la pelle olivastra come quella di Jan, un ometto che ha due grandi passioni: la meccanica e Maradona. A tratti mi sento sfacciato e questa qualità è sicuramente figlia di Mariella, insegnante bizzarra che sta viaggiando con due cani sotto i sedili poiché hanno la fobia degli alberi. La generosità è tutta merito di Eliseo, pediatra e medico carcerario originario di Rosario che ha deciso di venire a vivere quaggiù con la moglie perché la sua città non è sicura. Ho al tempo stesso l’indifferenza di Domingo, tecnico telefonico di Movistar, e la franchezza di Graziella e Lito, che in realtà si chiamerebbe Miguelito, anzi Miguel, ma in fin dei conti sul documento ha scritto Vittorio. I due pensionati stanno caricando Arthur sul cassone del loro pick-up che gli farà da sedile, letto, sala da pranzo e da finestra panoramica per tutti i chilometri che condivideranno assieme. Sento di avere la forza di Daniel, burbero operaio provinciale che giornalmente macina 500 km per fare manutenzione a dei macchinari speciali. L’agilità è quella di Adela, che sta strappando Arthur dal forte vento, mentre la capacità di cambiare idea è quella degli olandesi Illy e Berry, che ammettono di averlo visto 4 volte durante il giorno ma che non si erano mai fidati a raccoglierlo fino ad ora; meglio tardi che mai.

La volontà di aiutare l’ho presa da Omar e la sua ragazza, nonostante siano diretti altrove stanno aiutando Arthur ad attraversare la città. La sbadataggine, ahimè, sono sicuro di averla contratta dalle due ragazze tedesche che viaggiano con un’auto a noleggio carica di “senza”: senza un’assicurazione che copra il parabrezza ormai rotto, senza avere un’idea delle reali distanze argentine, senza più soldi per fare il pieno. Continuo a fissarmi nello specchietto e vedo un ibrido, un miscuglio di tante persone diverse. Ho dei tatuaggi sulle braccia che appartengono sicuramente a León che con la compagna Paula si sta facendo 1300 km per provare a vendere la propria merce alle pendici del Fitz Roy. Percepisco in profondità di avere un po’ di timore, quello di Victor e Vanessa, che lottano contro la loro paura e alla fine, tra mille precauzioni, si fermano al pollice alzato di Arthur. Ho la stessa voglia di pescare di Franco e Liz, senza però avere il loro sospetto fucile riposto vicino al freno a mano.

Abbasso lo sguardo e noto di avere gli stessi abiti semplici di Vladimir e Yuk, amici russi di San Pietroburgo che stanno offrendo ad Arthur pane nero pressato proveniente dalla loro terra. Ho l’educazione del veterinario Carlos e della geologa Malika, coppia colombiana in vista al ghiacciaio Perito Moreno e la praticità di Alexander, coetaneo tedesco che si occupa di cercare fondi per progetti militari mentre sta passando le sue vacanze guidando e dormendo in macchina. La barba appena accennata assomiglia a quella di Ariel, cameriere misogino che va all’aeroporto a prendere il suo capo, mentre gli occhiali tondi sono gli stessi di Fernando, che col suo mate sta affrontando un viaggio di 3400 km per portare al fratello l’auto appena comprata. La tenacia di non ceder al sonno me l’ha passata Thomas, quarantacinquenne ex tecnico di esplosivi radioattivi nel settore petrolifero che ha lasciato uno stipendio da 10 mila dollari al mese per andare ad accompagnare i turisti a pescare mostri di 20 kg. Amante romantico della natura, delle donne e della sua Argentina che definisce “un Paese d’oro in cui ci rivoltiamo nella merda”. Avverto la voglia di sapere di Paulo, camionista del nord con il sogno di tornare tra i libri di scienza per cambiare quel lavoro. La stanchezza è tutta di Ugo, operatore radio che viaggia con una felpa con la scritta “Italia” comprata a Roma due anni prima e che dal tanfo sembra non si sia mai tolto. Sento di avere la gioia di vivere di Graziella e Victoria, due amiche zitellone che viaggiano sempre assieme e che stanno salvando Arthur dall’indecisione, gli stanno dando del mate e a breve lo aiuteranno a superare la frontiera.

Continuo a pigiare sull’acceleratore e noto che ho le gambe possenti del cileno Gabriel, tecnico meccanico di macchine pesanti per l’estrazione del petrolio con cui Arthur sta attraversando gratis lo stretto di Magellano e arriverà fino al cuore della Terra del Fuoco. Ho la stessa comprensione di Rodrigo, camionista che trasporta pesci vivi e che raccoglie il povero autostoppista dopo che Gabriel ha cambiato idea e lo ha lasciato appena giunti sull’altra sponda. La voglia di festeggiare è tutta merito del discendente greco Anastacius e di Juan, coppia di amici pensionati che da Santiago del Cile vanno al fondo di queste aspre lande a trovare un altro compagno del liceo. Questo viaggiare, che mi porta a macinare chilometri e chilometri solo in macchina, lo devo a Thomas e Lauren, fidanzati franco-colombiani partiti un anno fa da Bogotà per girare l’intero Sud America in furgoncino. L’amore per i figli mi è caduto addosso da Andres e Fatima di Buenos Aires, un ingegnere e una maestra che da 6 anni vivono nel profondo Sud e che ora stanno andando ad Ushuaia per fare degli esami al piccolo Felix.

La cintura inizia a logorarmi le spalle, larghe e possenti come quelle di Javier, che assieme alla moglie Silvana e al figlio Nacho, si è trasferito da Buenos Aires a Rio Grande per scappare dalla pericolosità della capitale. Parlo tra me e me senza fermarmi e non ci posso far nulla, d’altronde la loquacità me l’ha tramandata Graziella, uruguagia discendente di un generale della dittatura militare. Gli occhi azzurri me li ha prestati Fabian assieme alla sua pazzia, mentre Anhuel, trentatreenne impiegato di banca che si fa 380 km per sostituire il collega nella città vicina, mi ha trasmesso la dedizione per il lavoro. Le bestemmie che di tanto in tanto faccio scappare per le tante buche presenti sul manto stradale le ho imparate da David, che inaspettatamente sta caricando Arthur sul pullman che sta provando a consegnare ad Ushuaia dopo quasi 3000 Km senza dormire. Quando otterrà il modulo mancante per attraversare la frontiera cilena e arriverà a destinazione, il suo amico e compagno di viaggio Daniele comprerà una macchina che venderà una volta tornati a Buenos Aires, lì con un’altra corriera inizieranno lo stesso identico viaggio. Per la terza volta in settimana. La pancia da vino invece l’associo a Ramón, professore che si sta recando al lavoro, mentre la pace interiore la ricevo in dono da Yoel, nipote di un noto scrittore patagonico, appassionato delle volpi, della navigazione e dei nipoti che definisce “un ottimo contraccettivo” per non avere figli suoi.

Mentre la steppa si rinnova continuamente nella sua immutabilità ascolto la musica leggera che esce dalla radio e non riesco a trattenermi dal ballare, colpa di Gustavo, camionista ventitreenne che segue le orme del padre, amante sfegatato della cumbia e di tutto ciò che si può fare su di un camion incluso, a tratti, guidarlo. La responsabilità è da dividere con Leo, altro autostoppista che sta allietando il viaggio di Arthur con una chitarra. Soffro il peso dell’età come Mauro, che di anni ne ha solo 37 ma sembra averne vissuti il doppio passati ad ascoltare gli Héroes del Silencio, suo risveglio quotidiano. Ho il piede pesante di Roque, pescatore di gamberetti nelle acque dell’Atlantico, che non scende mai sotto i 170 all’ora coprendo così la tratta in due ore e un quarto quando Google ne prevedeva cinque. La voglia di amare me l’ha insegnata Salin, giovane fotografa che sta caricando Arthur con una scusa nonostante non conosca la strada, finirà per scaricarlo alla prima rotonda. Sui sedili posteriori non c’è nessuno ma sento di essere padre, esattamente come Orazio, operaio nelle telecomunicazioni che va a prendere il figlio a scuola e lascia Arthur alla rotonda successiva. Sento di covare anche brutte sensazioni come la paura. Me l’hanno trasmessa Manuel e Nacho che senza tanti complimenti stanno caricando rapidamente Arthur nel retro del loro buio furgone tra secchi, badili e un water. I pezzi di pane che gli passeranno da una piccola feritoia allontaneranno dalla sua mente l’idea di un probabile rapimento.

Osservo una profonda ruga che mi taglia in due la fronte, come quella dell’anonima taxista che sta trasportando Arthur gratuitamente sottraendolo per alcuni minuti alla pioggia e alla salita che gli sembrava non finire mai. O come quella che affligge il collo di Ramón, camionista che ama pescare in riva al mare perché “el agua tiene un ruido que me lava un poquito el cerebro”. Sento nelle vene pulsare la passione per il Fútbol argentino, la stessa che vive dentro Ivan, studente veterinario che a poche ore dall’inizio di Boca – River si presenta tutto paludato in bianco e rosso spiegando all’autostoppista che il calcio è più di un semplice sport perché “quando gioca il River per un’ora e mezza mi dimentico della realtà e dei problemi”.

La mappa sul sedile a fianco mi ricorda l’amore per la geografia di Martín che sta andando a insegnare questa materia immerso nelle note degli ACDC. Sento di avere anche un pizzico di pazienza, ma la maggior parte se l’è tenuta stretta Alejandra, tucumana che si sta recando all’asilo dove lavora in mezzo a 100, c-e-n-t-o, piccoli bambini. Se esiste davvero un inferno, deve assomigliare a quel posto. Credo invece che l’inquietudine mi sia stata data da Maxi, ex poliziotto radiato che ora inganna il tempo lavorando in borsa e pescando piccoli squali in Kayak nell’oceano Atlantico.

In lontananza, a bordo strada, una giubba blu pone fine alla mio auto analisi. Un giovane scapigliato tende il braccio verso la carreggiata, il pollice ritto a puntare il cielo. In mezzo alle firme del vento, del sole e della fame alberga un grosso sorriso sornione. Dopo un’iniziale indecisione decido di accostare.
Sale un ragazzo dagli occhi scuri e con un velato accento italiano. Il mio corpo percepisce in lui decine di frammenti appartenenti ad Arthur ma dice di chiamarsi Amos e di aver appena concluso il suo viaggio in Patagonia. Chiude con decisione la portiera, sistema lo zaino e lascia che la sua voce si colori di una tonalità familiare all’interno dei miei orecchi.

«Ciao Ford Perfect, ho faticato molto a crearti nella mia mente» dice allacciandosi la cintura. «Amalgamare sessantatré persone diverse in un solo, immaginario, essere vivente non è stato facile. A guardarti bene però mi pare che il risultato possa andare. Allora, adesso che sono arrivato, dove andiamo?».

 

Ad Andrea, 47 km                                                    A Gonzalo e Antonio. 28 km

A Mari, Mathi e Claudia. 23 km                            A Jonathan. 9 km

A Carlos. 39 km                                                        A Santiago. 33 km

Ad Abramo. 51,5 km                                                A Ramon detto Lalo. 94 km

A German. 197 km                                                   A Tatiana. 5 km

A Jaime. 34 km                                                        A Jaime e Andres. 13 km

A Emily. 1 km                                                           A Carla. 80 km

A Eduardo. 82,5 km                                                A Ian. 7,5 km

A Riccardo. 5,5 km                                                  A Jan. 13,5 km

A Mariella. 137 km                                                  A Eliseo. 4 km

A Domingo. 8 km                                                    A Lito. 346km

A Daniel. 50 km                                                      Ad Adela. 4 km

A Illy e Berry. 121 km                                              A Omar e la sua ragazza. 2 km

Alle due ragazze tedesche. 501 km                       A León e Paula. 87,5 km

A Victor e Vanessa. 214 km                                    A Franco e Liz. 46 km

A Vladimir e Yuk. 23,5 km                                     A Carlos e Malika. 4,5 km

Ad Alexander. 75 km                                               A Ariel. 13,5 km

A Fernando. 15 km                                                   A Thomas. 270 km

A Paulo. 6,5 km                                                        A Ugo. 6,5 km.

A Graziella e Victoria. 97 km                                 A Gabriel. 20,5 km

A Rodrigo. 10,5 km                                                 Ad Anastacius e Juan. 31,5 km

A Thomas e Lauren. 207 km                                Ad Andres e Fatima. 204 km

A Javier, a sua moglie Silvana ed al figlio Nacho. 96,5 km

A Graziella. 102 Km                                               A Fabian. 32,5 km

Ad Anhuel. 321 km                                                  A David. 27 km

A Ramón. 19,5 km                                                 A Yoel. 210 km

A Gustavo e a Leo. 551 km                                   A Mauro. 9,5 km

A Roque. 350 km                                                    A Salin. 5 km

A Orazio. 4 km                                                        A Manuel e Nacho. 61 km

Alla taxista di cui non conosco il nome. 2 km  A Ramón. 257 km

A Ivan. 187 km                                                         A Martín. 29 km

Ad Alejandra. 16,5 km                                            A Maxi. 86,5 km

A tutti loro, alla diversità e a me per averci provato, grazie.