Non sono sicuro sia davvero il 13 luglio oggi, forse lo era già ieri e chissà in quale posto ha cominciato a non essere più il 12. Il tempo si è fermato o forse si è fatto in quattro, magari in cinque o sei, probabilmente si è spezzato ed è caduto in mille pezzi quando il sole ha deciso di non scendere più alla sera com’era suo solito fare.
Sono in un altro aeroporto con un fuso orario diverso da quello di stamattina e completamente spostato da quello che mi pareva appartenere a ieri. Più 5, no meno 6, orario di qua o di là? Ma calcolando il fuso orario di giù che ora sarebbe?
Ho varcato la porta di casa alle quattro di venerdì mattina e sento gli amici lì in Italia che stanno uscendo da diverse sere e a me pare che qui il venerdì non riesca a spegnersi da solo, che qualcosa si sia inceppato. Come può essere già sera se io sono ancora a New York e devo aspettare 7 ore per prendere un aereo che in 11 mi porterà a Buenos Aires dove dovrò prendere un bus che in un’ora e mezza mi porterà in un altro aeroporto, aspettare 6 ore e poi con un ultimo volo interno di 2 arrivare a Neuquén dove un centinaio di chilometri mi separano dal mio punto di arrivo?
Mi sento un equilibrista che cammina sulle lancette dei più disparati e malfermi orologi di questo mondo. Un correre costante tra numeri, ingranaggi e date per acchiappare un tramonto che viaggia più veloce di me. Quando mi pare di aver trovato una quadra, di capirci qualcosa, quando mi sembra di riuscire a rimettere tutti i ticchettii passati nel loro giusto ordine, all’improvviso tutto si evolve nuovamente e come nella persistenza della memoria di Dalì il tempo torna a liquefarsi e a travolgermi come un’onda. Forse conviene non combattere questo flusso, lasciare fare al tempo che se l’è sempre cavata da solo e fare i conti alla fine. Registrare l’ora e la data in cui toccherò un letto e dopo una dormita capire quanto è lontano da casa quel sole sorridente su sfondo bianco, dipinto tra due strisce azzurre.
P.S. il bollettino ufficiale riporta 53 ore.
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